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Recensione di Maria Elvira Consoli al libro di Paolo Vincenti “I segreti di Oppido Tralignano”

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Libro di Paolo Vincenti

Libro di Paolo Vincenti

Questo recente lavoro di P. Vincenti si può ascrivere al genere del ‘racconto lungo’ per la complessità della trama, per lo sviluppo dei personaggi, ed ancora per le descrizioni dei luoghi e dei paesaggi.

Non è possibile definirlo un vero e proprio romanzo, poiché non ne ha le dimensioni e neppure il tempo narrativo. Evidentemente per questi motivi l’autore ha ritenuto che non fosse necessario un indice, lasciando ai suoi attenti lettori il compito di cogliere il nesso che lega i 13 episodi costitutivi il lungo racconto.

La cifra originale della narrazione va ricercata nell’acuta commixtio di satirico e noir, che calamita l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina, inducendolo a riflettere sugli atroci effetti di una società, in cui ciascuno vive la propria esistenza in base ad un codice capovolto.

Il lettore, pertanto, è come obbligato a guardare alla realtà presentata da Vincenti senza alcun velo d’ipocrisia e, soprattutto, senza l’illusione che gli interpreti dei vari episodi non siano davvero anime perse di un mondo in disfacimento.

In realtà la particolare struttura metaforica e stilistica del lavoro costituisce sotto il profilo non soltanto psicologico – come affermerebbe Francesco Orlando (Per una teoria freudiana della letteratura, Einaudi 1982) – bensì sociologico un testo teatrale molto interessante che non manca di attrarre per le reminiscenze culturali che lo caratterizzano. Tra queste risultano particolarmente significative alcune epigrafi in latino (p.31), che, se campeggiassero sul fondo di una scena teatrale indicherebbero agli spettatori profonde verità: Benemeritis fidus et mitis; Homo quod potest, Fortuna quod vult, Deus quod mandat.

Il racconto, infatti, di Vincenti inizia con il primo episodio nello scenario del ‘Caffè Barbarino’ (p.6) e, seguendo lo schema della ring-composition, si conclude con il 13° episodio che, per unità tematica, presenta la stessa scena, e dall’omonimo titolo ‘Caffè Barbarino’ (p.80).

L’intera narrazione, dall’incalzante ritmo drammaturgico, si snoda in 13 scene sotto forma di episodi caratterizzati da vicende a fosche tinte noir ed agiti da circa 30 personaggi, rappresentati da Vincenti con una spiccata propensione al giallo, ma non senza alcuni tocchi di riflessione personale tra l’ ‘ironico’ ed il ‘satirico’ che egli più o meno consapevolmente desidera infondere al destinatario. Lo conduce infatti, nel ‘Caffè Barbarino’ come nella prima scena di un testo teatrale e gli presenta i personaggi principali del racconto: Susanna, Don Roberto Guccione, Lele (diminutivo di Natale), la sua ragazza Irene e la sorella di questa, Alice. Non mancano, però, tra i frequentatori del caffè dei personaggi minori come Riccardo Zara e la Mente di Tetsuya. 

Affiora già da questi nomi la vena ironica dello scrittore che, nel 2° episodio dal titolo Mattinata Apollinea aurorale ad Oppido Tralignano (p.8) informa che il paese è “diventato un caso di studio nazionale ed internazionale” per l’inspiegabilità di numerosi delitti imputabili ad un mostro, come poi indicato nel 3° episodio, dal titolo Un mostro chiamato Morbio (p.11), di cui Vincenti descrive la vita e la metamorfosi (p. 13). Morbio diverrà quindi nel racconto l’assassino di Giuseppe e Clara, cioè dei genitori di Lele. Oltre a questo giovane, saranno il prof. Abramo Panebianco, docente universitario di Ematologia, ed Irene che tenta di sedurlo per suoi fini, pur essendo la ragazza di Lele, i protagonisti della quarta scena (p.20) dal significativo titolo virgiliano Veneris nec praemia noris (Eneide, IV 33), allusivo al dionisiaco amplesso tra Irene e Lele dopo la scenata di gelosia di questo nei confronti della ragazza.

A seguire nel 5° episodio, intitolato Misteri e Misteri (p.25), Abramo Panebianco, dopo aver assistito alla presentazione del libro I segreti di Oppido Tralignano al Circolo della Vela, diviene preda di un incubo nel ripensare ai continui delitti nel piccolo centro ed alle ipotesi sconfinanti nella superstizione e nel soprannaturale avanzate da alcuni abitanti. Tra questi in particolare il notaio Zufoletti, convinto della presenza di lupi mannari nei boschi e della maledizione incombente su Oppido.  

A tal proposito Vincenti fa riferimento al Dictionnaire Infernal di Jacques Collin de Plancy, ed ancora al trattato Lycantropie di Jerard De Nyauld, risalente al 1615, informando al contempo dell’arrivo in città della criminologa Bruzzone (pp.27-28).

In preda all’insonnia, Abramo Panebianco nel 6° episodio (p.30) esce da casa per girovagare tra le vie di Oppido, fermandosi tuttavia a leggere le citate iscrizioni (p.31) in Latino di un antico palazzo barocco. L’inquieto professore continua la sua passeggiata fino al ‘Caffè Barbarino’, dove incontra Don Guccione e Marco, un compagno di Liceo con il quale ripercorre i passaggi più salienti della giovinezza, tra cui l’abbandono dell’aspirazione religiosa sia per gli studi di Medicina che per la propensione alle donne, per la quale è ormai noto come tombeur de femmes.

Riguardo poi agli iterati delitti che si verificano nel centro di Oppido, Marco avanza l’ipotesi di una matrice soprannaturale, che invece viene scartata dal professore il quale pensa a cause di natura scientifica.

Nel frattempo il parroco, Don Guccione, vede Irene in un pub e prova un desiderio irrefrenabile per lei che, dopo iterati rifiuti, cede all’hic et nunc, effetto della propria sete di vivere.  La stessa che la indurrà poi ad unirsi al camionista, l’ex tronista Mario, il quale, facendole completamente dimenticare il suo Lele ed Oppido, la condurrà con sé verso la Germania. Ma lungo il viaggio in autostrada un lupo sbarra loro il percorso: il camion precipita nella scarpata; Mario muore ed Irene viene condotta in ospedale in condizioni critiche.

Nel frattempo Gonzio, il padre di Irene, nel 7° episodio, che costituisce la scena del Sittin’on the dock of the bay (p. 40) incontra l’amico Crisostomo con il quale ripercorre i tratti salienti della sua vita e del matrimonio con l’ex meretrice da lui uccisa Adelina, le cui fattezze mentre loro parlano emergono, e come per vendetta, da un improvviso vortice del mare (p.46).

Lele, intanto, nella scena successiva, ovvero l’8° episodio, dal titolo Oppido Novembre. Notizie dall’interno (p.48) come per stordirsi dell’abbandono di Irene, s’intrattiene nel ‘Caffè Barbarino’,  giuocando a punzecchiare il barista. E mentre il giornale radio diffonde le notizie di arresti eccellenti si scatena una zuffa tra un ex comunitario ed il barista che monta un caso mediatico, coinvolgendo il conduttore Paolo Del Debbio e chiedendo all’on. Santanché di farne oggetto di un’interpellanza parlamentare.

 Il dramma a questo punto precipita nel 9° episodio, dal titolo Un lupo mannaro ad Oppido Tralignano (p.51), per il fatto che, affetto di licantropia fin dalla nascita, il giovane Lele cerca la sua Irene in Germania e di seguito ad un attacco di gelosia e ad una colluttazione con lei, assume la sembianza di un lupo grigio e corre per i dirupi del paesaggio bavarese (p.54).

Frattanto Gonzio, nel 10° episodio Tranches de Vie/tratti di vita (p.63),torna a casa dopo il lavoro e discute con il collega Vittorio sia dell’origine della vita, ritenuta ‘cibo per vermi’, sia dell’assurdità del mondo considerato ‘regno dell’Anticristo’ (p.64).

Lo sguardo non convenzionale dell’autore Paolo Vincenti si posa poi nell’11° episodio, dal titolo Amore a tutte le età (p.66), sul calcolato legame che unisce Corrado, impiegato del catasto in pensione, a Giulia, di origine polacca, sarcasticamente soprannominata ‘oca selvatica’. Intenta alla raccolta  dei fichi la coppia viene assalita dal vampiro Michele Morbio che, insensibile alle profferte di Giulia, la sgozza risparmiando Corrado che gli aveva chiesto di prendere lei e lasciarlo indenne.

Ad una simile ed ancora più truce sorte andrà incontro Irene nel penultimo episodio, dall’eloquente titolo Ritorni (p. 71).

La ragazza, infatti, ripresasi dall’incidente stradale in Germania torna ad Oppido Tralignano. Lele è ormai rassegnato a non averla per sé, sapendo che è costantemente circuita dal prof. Abramo Panebianco.  A questo, in realtà, Irene confida i propri incubi riguardo al lupo mannaro e ribatte al disappunto del professore per il proprio eccesso di fantasia, ponendogli l’interrogativo: “non è forse vero che senza la fantasia questa società sarebbe solo razionalità?”.

Poco dopo Irene pagherà questo interrogativo con una morte atroce inflittale dal vampiro Morbio.

Infine, l’autore chiude il cerchio della ring-composition, riconducendo nel 13° episodio, dal titolo ‘Caffé Barbarino’ (p.80), l’attenzione sui suoi frequentatori, in particolare la Susanna e Don Guccione, che dopo l’atroce fine di Irene sentono incombere ‘forze malvagie’ su Oppido Tralignano.

 Il lungo racconto, che presenta tutte la caratteristiche di un testo drammatico, si chiude con una nota (p. 85), in cui l’autore spiega e collega la genesi della sua narrazione ai fumetti oggi dimenticati dell’Uomo Ragno ed al celebre villain (bruto) Morbius, lo scienziato vampiro.

Ma, aldilà di questo, i fatti ed i personaggi metaforicamente rappresentati nel testo alludono alle realtà più inquietanti del nostro tempo e lumeggiano, pertanto, il messaggio etico finemente celato nell’epigrafe in latino, non casualmente richiamata dall’autore: Benemeritis Fidus et Mitis.

Maria Elvira Consoli  

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