11 Maggio 1860 lo sbarco dei Mille a Marsala
di Giovanni Teresi
Si tratta senza dubbio dell’impresa più importante tra quelle risorgimentali. Permette di abbattere il Regno delle Due Sicilie e rappresenta la spinta decisiva per la realizzazione del processo di unificazione nazionale.
Il 5 maggio 1860, due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, appartenenti alla compagnia Rubattino e particolarmente moderni e veloci per l’epoca, salpano da Quarto, nei pressi di Genova, diretti in Sicilia. Ma come nasce questa spedizione? Primi ideatori sono Nino Bixio e Francesco Crispi. L’uno, amico fraterno di Goffredo Mameli, esperto navigatore e con numerose esperienze di lotta per l’indipendenza alle spalle, l’altro uomo politico, che dopo l’unità d’Italia aderirà a posizioni monarchiche diventando anche presidente del Consiglio.
In particolare Francesco Crispi è determinante nel convincere Giuseppe Garibaldi a guidare l’impresa, a condizione però che tutta l’operazione sia preceduta da una rivolta, che possa preparare il terreno all’arrivo dei mille. Così il 4 aprile 1860 a Palermo scoppia un’insurrezione, capeggiata dal patriota Francesco Riso. La scelta di salpare da Quarto è dovuta soprattutto al fatto che all’epoca la zona non fa parte di Genova ed è abbastanza isolata, c’è lo spazio sufficiente per fare attraccare entrambe le imbarcazioni e armarle senza destare grandi attenzioni, trattandosi di una spedizione militare non ufficiale. Il Regno di Sardegna però è perfettamente a conoscenza della situazione. Cavour sa di non potere attaccare direttamente il Regno delle Due Sicilie e rilascia un tacito consenso.
A bordo inizialmente sono presenti 1162 volontari. Nella tappa intermedia di Talamone, fatta per caricare munizioni, Garibaldi dichiara l’intenzione di andare a combattere per il Re e per l’Italia e una settantina di persone decidono di abbandonare la spedizione e in Sicilia arrivano 1089 uomini, che passano alla storia come I“Mille”. Interessante analizzare chi sono queste persone presenti. Rappresentano la parte più moderna della società, trattandosi di intellettuali, professionisti, insegnanti, operai e artigiani. Molti hanno combattuto con Garibaldi durante la seconda Guerra d’indipendenza, alcuni sono tornati dall’esilio o hanno preso parte ai moti del 1821.
Dalla fine del 1859 Garibaldi comincia a raccogliere armi e soldi con la “Sottoscrizione nazionale per il milione di fucili”. L’11 maggio 1860 i due piroscafi sbarcano a Marsala, nella parte occidentale della Sicilia. Si dirigono a Salemi, dove Garibaldi proclama la dittatura in nome del re Vittorio Emanuele II. Ottengono una prima vittoria contro le truppe borboniche a Calatafimi e tra il 27 e il 29 maggio occupano Palermo. I mille continuano ad avanzare, cacciano quasi totalmente i Borboni dall’isola e attraversano lo Stretto. Garibaldi prosegue una marcia trionfale che lo porterà il 26 ottobre 1860 ad incontrare Vittorio Emanuele II a Teano, in Campania e a deporre nelle sue mani il controllo del Regno delle Due Sicilie, in uno degli episodi centrali della storia del Risorgimento italiano.
Lo sbarco dei Mille a Marsala
La sera del 5 maggio, meticolosamente sorvegliata dalle autorità piemontesi, la spedizione guidata da Garibaldi salpò dalla spiaggia di Quarto, simulando, come da accordi, il furto dei vapori Piemonte e Lombardo. Dopo aver fatto scalo in Toscana, a Talamone e a Porto Santo Stefano, per rifornirsi di armi e munizioni, i garibaldini diressero verso la Sicilia.
Per evitare navi borboniche, i due vapori, avevano seguito una rotta inconsueta (verso le Egadi), che li aveva portati fin quasi sotto le coste tunisine. Durante la notte del 10 maggio, il Piemonte, più veloce, aveva staccato il Lombardo, ma, prima dell’alba, i piroscafi si ricongiunsero in circostanze rocambolesche, giungendo, al mattino dell’11 maggio, fra Favignana e Marettimo dove furono individuati dal semaforo della punta della Provvidenza che segnalò la scoperta alle navi da guerra della Real Marina del Regno delle Due Sicilie; ma essendo le navi troppo lontane (20 miglia) non riuscirono ad impedire lo sbarco avvenuto verso le tredici e trenta dell’11 maggio.
I Mille, intenzionati a volgere verso Sciacca, puntarono poi a Marsala, poiché informati dall’equipaggio di un veliero inglese che il porto della città lilibetana non era protetto da vascelli duosiciliani. L’assenza di borbonici, confermata anche dal capitano di una paranza da pesca, Antonio Strazzera, convinse Garibaldi a dirigersi verso Marsala, dove i vapori piemontesi, che avevano inalberato il vessillo sabaudo, giunsero verso le tredici e trenta. Il Piemonte (dove era imbarcato Garibaldi) raggiunse il molo, attraccando in mezzo ad alcune navi mercantili inglesi, mentre il Lombardo si arenò in una secca nei pressi del faro, il che costrinse i suoi occupanti a raggiungere la spiaggia con le scialuppe. Anche lo sbarco del materiale (che si trovava perlopiù a bordo del Lombardo, nave di stazza maggiore del Piemonte) fu effettuato con l’aiuto delle barche presenti nel porto.
La presenza inglese al porto di Marsala
Lo sbarco dei garibaldini fu favorito da diverse circostanze. Due navi da guerra inglesi, l’Argus e l’Intrepid, provenienti da Palermo, incrociavano al largo di Marsala ed entrarono nel porto della città siciliana circa tre ore prima della comparsa dei legni piemontesi. Non è ancora chiaro il motivo della presenza inglese in quel luogo.
Già da tempo, comunque, altre imbarcazioni della marina militare britannica solcavano le acque del Tirreno nei pressi delle coste delle Due Sicilie: infatti, il contrammiraglio George Rodney Mundy, vicecomandante della Mediterranean Fleet, una divisione della Royal Navy, aveva ricevuto ordine, dal suo governo, di assumere il comando del grosso delle unità navali della sua flotta e di incrociare nel Tirreno e nel canale di Sicilia, effettuando frequenti scali nei porti duosiciliani a scopo intimidatorio e di raccolta di informazioni, cosa che avrebbe sicuramente attenuato la capacità di reazione borbonica.
Garibaldi, nelle sue memorie, riconobbe che la presenza britannica giocò un ruolo rilevante nell’agevolare lo sbarco, affermando che: « La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti dei legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo di ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera di Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; ed io, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto. »
Nonostante ciò, sempre nelle sue memorie, il generale chiarì che non c’era neanche un principio di verità nelle dicerie che gli inglesi avessero aiutato direttamente lo sbarco: « Fu però inesatta la notizia data dai nemici nostri che gl’Inglesi avessero favorito lo sbarco in Marsala direttamente e coi loro mezzi. » In effetti, era diffusa la convinzione che i legni britannici avessero lasciato Palermo con il preciso scopo di favorire l’impresa del condottiero nizzardo. Durante una riunione della Camera dei Comuni, infatti, il deputato inglese, sir Osborne, accusò il governo di aver favorito lo sbarco di Garibaldi a Marsala. Lord Russell rispose che le imbarcazioni erano lì, esclusivamente, per proteggere le imprese inglesi della zona, come i magazzini vinicoli Woodhouse e Ingham, e che non intralciarono le operazioni dei vascelli borbonici nel frattempo accorsi, i quali avrebbero potuto tirare sui garibaldini, ma non lo fecero. Lo spostamento degli inglesi da Palermo a Marsala fu, comunque, la dimostrazione dell’inefficienza della crociera protettiva in atto, infatti, le navi giunsero nel porto lilibetano senza venir intercettate dall’Armata di Mare duosiciliana
L’intervento borbonico
Alcune navi da guerra borboniche, lo Stromboli, la Partenope ed il Capri, infatti, erano giunte, sebbene con sensibile ritardo, nel porto di Marsala. Con il grado di capitano di fregata, Guglielmo Acton, nipote di John e cugino di secondo grado di Lord Acton, era il comandante della corvetta Stromboli, mentre Francesco Cossovich e Marino Caracciolo avevano il comando, rispettivamente, della Partenope e del Capri. Il ritardo con cui Acton entrò nelle acque marsalesi è attribuibile a due discussi episodi. Il primo riguarda l’ordine, ricevuto dal capitano di origini scozzesi, attraverso una nota reale del 9 maggio, di muovere verso Tunisi.
Probabilmente, i sistemi di informazione del governo borbonico furono ingannati da uno stratagemma della propaganda liberale che diffuse la notizia di garibaldini pronti a partire dalla città africana. Il secondo episodio, relativo proprio alla mattina dell’11 maggio, riguarda la decisione di imbarcare due cannoni, a bordo dello Stromboli, che portò via ad Acton almeno due ore di tempo, impedendogli, così, di intercettare il Piemonte e il Lombardo in altro mare: situazione che sarebbe risultata molto pericolosa per i vapori garibaldini.
Giunto nel porto, il vascello di Acton non contrastò immediatamente lo sbarco dei Mille. Egli, infatti, tardò, anche, a bombardare i garibaldini, probabilmente perché incerto circa le intenzioni delle due navi da guerra inglesi: il capitano Winnington Ingram, al comando dell’Argus aveva segnalato la presenza sul molo di marinai britannici e chiesto ai napoletani di attendere che questi fossero reimbarcati prima di avviare le ostilità. Acton, con un atto di “cortesia internazionale”, acconsentì.
Gli indugi furono finalmente rotti dall’avvio di un poco efficace bombardamento dei moli che, però, fu presto sospeso da un nuovo intervento del comandante dell’Argus. Questi, accompagnato dal capitano Marryat, l’ufficiale al comando dell’Intrepid, e da Richard Brown Cossins, vice console inglese a Marsala, salì a bordo dello Stromboli e ammonì Acton dicendo che lo avrebbe ritenuto personalmente responsabile se il cannoneggiamento avesse danneggiato le vicine proprietà vinicole britanniche.
Solo dopo aver rassicurato gli inglesi, l’attacco riprese, questa volta con l’ausilio delle bocche da fuoco dei vascelli Partenope e Capri, nel frattempo giunti nel porto. Proprio un ufficiale del Capri fu inviato a bordo dell’Intrepid per parlamentare con gli inglesi. Questi, in sostanza, domandò un intervento britannico, avanzando la richiesta che una lancia venisse fatta accostare alle navi piemontesi per intimar loro la resa. Naturalmente gli inglesi rifiutarono. Subito dopo il colloquio, l’Argus spostò il proprio ancoraggio andando a collocarsi in posizione più prossima ai magazzini di vino per poter meglio proteggerli.
Giovanni Teresi