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Ignazio Falconieri, la sentenza di condanna alla pena capitale fu pronunciata di domenica.

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Ignazio Falconieri

di Giorgio Mantovano

Era il 27 ottobre 1799 quando, alle ore 15, la Giunta di Stato decise la condanna alla forca per Ignazio Falconieri, il sacerdote nato a Monteroni, illustre docente di retorica, tra le vittime più insigni della reazione borbonica.

Ignazio aveva quarantaquattro anni, ma già da tempo era ben noto a re Ferdinando IV che, in una lettera inviata alla moglie il 30 luglio di quel fatidico anno,  lo ritenne “fra i più celebri e scellerati giacobini”. 

Dalla Copertina del volume: Gino Pisanò, Ignazio Falconieri letterato e giacobino nella rivoluzione napoletana del 1799, Piero Lacaita Editore, 1996

Arrestato con l’uniforme francese il 23 giugno 1799, fu consegnato con altri esponenti della Repubblica partenopea al generale Nelson, giunto a Napoli pochi giorni prima.

Il vincitore di Napoleone non accettò le clausole della resa, ossia l’onore delle armi ai patrioti e il risparmio delle loro vite. Fedele alla volontà della spietata regina Carolina, decise di lavare in un bagno di sangue l’onta repubblicana, facendo impiccare sulla sua nave Francesco Caracciolo, celebre ammiraglio della repubblica partenopea. 

Vincenzo Cuoco, nel concludere il suo “Saggio storico sulla Rivoluzione napoletana del 1799“, ricordò che la rivoluzione “contava trenta su quaranta vescovi, altri venti in trenta magistrati rispettabili, …. molti avvocati di primo ordine e infiniti uomini di lettere”. 

Tra questi ultimi riservò l’onore della menzione a Ignazio Falconieri, indimenticato autore delle “Istituzioni di Oratoria e poetica“, in uso nelle scuole napoletane per oltre cinquant’anni. 

Ridotto allo stato laicale da mons. Panzini, vescovo d’Ugento, poche ore prima dell’esecuzione, il 31 ottobre 1799 Ignazio Falconieri salì sul patibolo, in piazza Mercato.  

Morì da martire per perseguire il sacro principio della libertà.  Fu giustiziato insieme con l’olivetano Saverio Caputo, con Colombo Andreassi e con Raffaele Jossa, tutti sepolti nel Carmine Maggiore. 

La notte prima dell’esecuzione sorprese per la presenza di spirito con la quale confortò i compagni di pena. Stando alla testimonianza del De Nicola, che ne elogiò la fulgida personalità, chiese di essere il primo, quel giorno, tra i condannati, a salire sul patibolo, ma gli fu negato.

In quella tribolata stagione persero la vita, con il Falconieri, i figli migliori dell’illuminismo partenopeo: Francesco Antonio Astore, Francesco Mario Pagano, Domenico Cirillo, Vincenzo Russo, Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Ignazio Ciaia ed altri ancora. 

Tra le vittime anche il generale Oronzo Massa, salentino illustre, giustiziato il 14 agosto 1799.

In letteratura, senza alcuna pretesa di esaustività, vedasi: Gino Pisanò, Ignazio Falconieri letterato e giacobino nella rivoluzione napoletana del 1799, Piero Lacaita Editore, 1996; Aldo Vallone, Ignazio Falconieri: per la storia dell’illuminismo salentino, in AA.VV., Rinascimento meridionale ed altri studi. Raccolta di studi pubblicata in onore di Mario Santoro, Società editrice napoletana, 1987.

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