IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Liriche “Colloqui con l’anima”

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Arturo Nathan, Solitudine, 1930

Arturo Nathan, Solitudine, 1930 (Museo Revoltella, Trieste)

di Vincenzo Fiaschitello

I sentieri della speranza

I sentieri della speranza che tu,

anima, ti ostini ad additarmi

non corrono più gioiosamente

alla meta. Avvolti dalla oscurità

della sera, arrestano il mio debole

cammino che già da tempo

chiamavi fuorviante e pellegrino.

Tra rovine generatrici di incessante

sgomento e di tempesta di dubbi, altri

ne percorro che fulminano la mia

identità piegata verso errati orizzonti.

Così si va chiudendo questa vicenda

antica del molla e tira, del dolce

e dell’amaro, del correre e del frenare,

del salire e dello scendere, e tuttavia

trovo ancora bello pensare che questa

vita, che mi ha invaso il cuore,

si è fermata da lei un istante imprecisato

e fuggevole del tempo, in uno spazio

microscopico dell’universo, seduto

all’ombra di un albero profumato

accanto ad altro cuore.

Tempo che ti sbricioli nell’angoscia

                                    Tempo che ti sbricioli nell’angoscia

e nella gioia, nella carne e nell’amore;

tempo che appari e ti nascondi,

che scorri, ora come impetuoso

torrente, ora lento e sinuoso come

acqua di fiume che si attarda in anse

e ingannevoli dormiveglia.

Il presente sgombra le scorie del passato

e le sue lascia al tempo futuro.

Ritorna il presente del passato, inaspettato

convitato, che porta con sé lo sgomento

dell’anima sempre scossa dal vento

di desiderio. Al breve giorno non resta

neppure il tempo del tramonto che già

l’alba in fretta partorisce l’altro

e il seguente e l’altro ancora.

Ciascuno sa del vivere e del morire

d’ogni cosa. Un’onda è il tempo

che tutto travolge e tutto fa nascere

a nuova vita.

Rinascono i morti

Rinascono i morti

che hai nel cuore come ombre

senza che emergano al flebile

chiarore della notte lunare.

E’ un nero lampeggiare,

un lieve sfiorare la vita della morte

non dissimile da quella della vita di ieri.

Tra le tante, una il suo inquieto errare

ferma: un nome mi sfugge dalle labbra

e pare che vacuo non sia,

e va e torna in mesto giro finché

vuoto resta il luogo e il cuore privo

d’ogni speranza.

Quale vento disceso dalle cime di alberi

ravviva ancora la tua assenza?

Nessuna luce sul tuo volto, nessuna voce

si leva oltre la vertigine dell’abisso.

Ah, l’azzurro del marecielo di un tempo,

il verde dei prati e degli ulivi,

il ricordo del dolce sorriso del tuo sguardo

racchiuso nel mistero di una mandorla!

Un cesto di appassiti fiori

                                    Un cesto di appassiti fiori

sono i giorni e gli anni

che qui porti innanzi

alla mia memoria;

hanno un profumo d’antico

che svapora nell’aria

non più rigenerata dalle follie

di primavere che rimarginavano

le ferite del cuore.

Ombra fra ombre silenziose,

sei il fresco vento gentile

del crepuscolo serale

che mi solleciti a lasciare

il perduto tempo passato.

Tramonti come pallida luna

dietro i monti, risucchiata

dalla mia memoria non più memoria.

Primizia d’oscurità

Primizia d’oscurità, stelle

sbocciate nel cielo della sera,

magati sogni turgenti nel cuore

dell’antica terra dei miei paesi.

Oh, misero orgoglio che mi indusse

a fuggire e a strappare radici

alla vita di fresco fiorita!

Ti perdo mia esistenza bruciata

a tutte le intemperie del vivere,

alle lacrime, ai sogni, ai desideri,

a quel che fu, al niente del presente.

Ti ritiri da me o io da te?

Tutta la mia brevelunga storia

qui si ferma nel passo estremo

di misurata vecchiezza verso

lo sconosciuto approdo.

Il quarto d’ora di felicità

                                    Sono di quelli che cercano

il quarto d’ora di felicità

assaporando la mela del ricordo,

lontano dalla folla che ti spreme,

opprime e cancella l’identità,

sfiorita giorno dopo giorno.

Poi ti accorgi che la mela ha perso

sapore, è a un passo dal marcio.

Che fai? Ti scrolli il peso

insopportabile del tempo, rispondi

alla chiamata dell’umano gruppo

e in acque limacciose ti bagni

senza gioia, senza rimpianto.

Credi di ritrovare la tua perduta

ombra, e il giorno risale e scende

come sempre nell’attesa dell’oltre.

Vincenzo Fiaschitello

Nato a Scicli il 18/10/1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma con il massimo dei voti (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (Esami di Stato D.M.10/8/1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali (Vincitore Concorso nazionale a 119 cattedre, indetto con D.M. 30/6/ 1969) e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola –Facoltà di Magistero Università di Roma dall’anno accademico 1965/66 al 1973/74. Direttore didattico dal 1974 (Vincitore Concorso nazionale D.M.25/9/1970), preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.

Ha pubblicato oltre venti opere di saggistica, di poesia e di narrativa, nonché moltepliarticoli di critica letteraria, di filosofia, di storia, di pedagogia e di didattica.

Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana (Decreto Pres. Rep. 2/6/1997 ).

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