IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Per un “nuovo” PNRR, che non sia solo un dispositivo finanziario. Una rilessione a  margine della polemica tra Governo, Corte dei Conti e Vigilanza UE

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PIANO NAZIONALE DI RESISTENZA E RESILIENZA

di Enrico Conte

Bicchiere mezzo pieno:la revisione in corso del PNRR, volta a indirizzare le risorse su investimenti realizzabili nei tempi previsti (2026), rappresenta l’occasione per rivedere alcuni errori di impostazione del Piano ( non sono stati ascoltati, a suo tempo, i soggetti attuatori del territorio, Regioni e Comuni), ma per rilanciare il tema delle riforme che, a partire da quelle su PA e  giustizia civile, dovevano servire per creare un contesto favorevole agli investimenti infrastrutturali e immateriali, grazie ad un rinnovamento del capitale umano.

Più che un cambio di passo – certo importante posto che, dati ufficiali alla mano, nel 2023 risulta speso solo un miliardo dei 40 annuali previsti – quello che forse servirebbe sarebbe l’uso di un diverso registro, un approccio che sappia unire al necessario profilo burocratico-contabile ( le risorse devono essere rendicontate, posto che il regolamento PNRR del 2021 è un “contratto” del Paese con la Commissione UE), la capacità di selezionare e scegliere le priorità spiegandole, a partire da quelle che fanno da volano e da moltiplicatore per  altri interventi.

C’è allora da chiedersi se il rinnovo del personale PA ( dopo le cure dimagranti degli anni dell’austerità), reclutato con più snelle procedure digitali, sia stato accompagnato da iniziative formative promosse dal centro (Stato) per  disporre di una classe di funzionari e dirigenti con una visione culturale adeguata alla complessità della transizione climatica in atto, e che sappia integrarsi con le competenze tecniche di base richieste. Se l’attuazione del Piano costituisce “interesse nazionale” –  richiamato nel 2021 dalle regole sulla governance –  e tocca la reputazione europea del Paese, come emerge dai recenti contrasti tra Governo,Corte dei conti e Vigilanza UE, non sembra sufficiente rimettere le iniziative formative dei neo assunti, a partire da quelle sulle finalità del Piano, esclusivamente ai singoli soggetti attuatori, se non addirittura all’auto aggiornamento dei dipendenti, come da recenti dichiarazioni del Ministro per la PA. Più che uno “scudo erariale” non sarebbe più efficace rinforzare la cassetta degli attrezzi?

Ci sarebbe anche da domandarsi se, per dare più evidenza ai risultati di impatto del Piano,  non sia opportuno associare alla Missione ricerca che ha reso possibile attivare una miriade di borse dottorali, parte delle quali senza futuro, la creazione di un organismo che travasi la ricerca applicata al mondo dell’impresa e delle stesse PA, sulla falsariga di ciò che viene fatto in Germania fin dal 1949, quando è partito il modello Fraunhofer:si federano istituti di ricerca e si scelgono i progetti più promettenti attraverso una interlocuzione con i bisogni del territorio e con le risorse latenti disponibili. Tutto ciò per  promuovere iniziative in grado di tradursi in processi di sviluppo, leggasi lavoro per i giovani.

Un modello legato al territorio che, magari, possa dialogare con quegli uffici ministeriali, lo ricordava recentemente Elena Cattaneo, che sono in ritardo di diciassette mesi nelle operazioni di  chiusura della valutazione dei progetti presentati a valere sul Fondo Italiano per la scienza (50 milioni) da giovani ricercatori che, nel frattempo, andranno in cerca di occasioni all’estero.

Altra domanda: per la realizzazione e gestione di Nidi, scuole dell’infanzia, mense, palestre, servizi  previsti per recuperare i divari territoriali, per dare una risposta al bisogno educativo dei ragazzi e a quello delle donne di poter contare su condizioni che agevolino il lavoro, non potrebbe tornare utile coinvolgere  soggetti del Terzo settore, ambito non profit recentemente rilanciato anche dal Codice Appalti che contempla la co-programmazione e la co- progettazione con lo stesso, quale strumento complementare alla capacità delle stazioni appaltanti?

Bicchiere mezzo vuoto: il rallentamento nella gestione della spesa registrato negli ultimi mesi non sarà forse frutto di un approccio del decisore istituzionale che, non sempre con coerenza, ha accompagnato l’implementazione delle riforme, per lo più vissute come un peso più che come una opportunità, con un comportamento che si ripercuote sul sistema pubblico nel suo insieme? Non dipenderà dalla frammettazione dei soggetti attuatori del PNRR che rende particolarmente complesso individuare soluzioni di sintesi e processi integrati e che richiederebbe uno sforzo di coordinamento delle Regioni, quello possibile grazie all’art 117 Cost.s ulle competenze residuali? A chi spetta il compito di costruire un racconto collettivo che coinvolga i giovani neo assunti, in un qualcosa che abbia anche il sapore di un sogno per il Paese, di una Missione? Non si chiamano cosi i settori di intervento del Piano? Di un progetto che non sia la mera sommatoria di interventi, ai più incompresibili, ma un programma articolato e che viene spiegato.

Dare conto, nel mentre, di quello che si fa, quando si tratta di risorse pubbliche, una parte delle quali a debito, non dovrebbe voler dire solo rispondere al proprio creditore( la Commissione UE ), ma esercitare un compito coinvolgendo,  con trasparenza, sul “come si spende”, e facendo crescere la consapevolezza della comunità amministrata.

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