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Carceri e galere politiche. Memorie del Duca Sigismondo Castromediano

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Libro Carceri e galere politiche

Libro Carceri e galere politiche

Editore/Produttore Congedo Editore


Il Comune di Cavallino ha pubblicato in una ristampa anastatica “Carceri e Galere politiche”, le memorie che Sigismondo Castromediano scrisse e riscrisse più volte e che, per la prima volta, furono pubblicate nel 1896, un anno dopo la sua morte.


Com’è noto negli ultimi decenni l’Europa, ha posto in termini nuovi la grande conquista risorgimentale dell’Unità italiana, che fu la ragione stessa della testimonianza di fede e di martirio del patriota di Cavallino.


E se, nell’Unione europea allargata, lo stato-nazione rinuncia a quote di sovranità, restano però come dati inalienabili le diverse identità storiche e culturali, frutto di un processo che viene dalle profondità del tempo. In questo senso l’Unità nazionale italiana per la quale, il Duca di Cavallino, sofferse e patì lunghi anni di duro carcere, conserva intatti i suoi valori.


E senza alcun dubbio, Sigismondo Castromediano fu l’incarnazione vivente di questi valori in quella sua odissea che da Lecce lo portò al bagno del Carmine di Napoli, e, incatenato, nelle “stazioni dolorose” delle galere borboniche di Procida, Montefusco, Montesarchio, Nisida, Ischia.
Di quella catena, sopportata per 11 anni, scrisse che essa era un “serpente tenacemente ostinato, che mentre morde e stringe con i denti e con le spire, stritola l’intelletto e annienta la vita”. Quella catena, disse al padre ed ai fratelli, era un’altra decorazione della famiglia, e “molto più risplendente dei fregi aviti e baronali”.


Itala Stella Lavilla Vernaleone scrisse nel 1945, nel cinquantenario della morte di Sigismondo Castromediano, che “Carceri e Galere” hanno %l valore del ricordo ( … ) per meditare, attraverso il ricordo sulla vita di un uomo che tuttora, pur fatto cenere, educa e dirige”.


Sigismondo Castromediano, di fatti, fu educatore anche nel disincanto di quell’Italia appena unificata che fece dire a Garibaldi: “Non è questa l’Italia che io sognavo”.
Il Duca Bianco, in una lettera del 6 febbraio 1893, confidava alla marchesa Ida del Carretto Fusco, la stessa amarezza:
“Tutto dispare in questo modo e la bellezza e la virtù, specialmente quando succede una generazione che della virtù non vuol sentire nemmeno il nome”.


Era la delusione di quanti vedevano svanire, nella prosa delle cronache quotidiane, i sogni della poesia delle grandi passioni risorgimentali. Ma in Castromediano si avvertiva qualcosa d’altro, ed era l’amarezza di chi, appena tornato a Lecce, dopo 15 anni di assenza, si senti accusato da infami calunnie, come quella di avere con se “casse piene d’oro” e di essersi arricchito “a spese dello Stato!!”.


A questi sordidi calunniatori Castromediano rispose con sdegno ribadendo che “Essi, a contrastare i passi altrui non avevano che la calunnia, e la lanciavano contro i petti più illibati, le più alte cime, i nomi più venerandi. Si usò e si abusò sino a sazietà, sino alla vergogna dell’arma fatale, e con le parole e con la stampa, insidiando allo scuro e all’aperto, vociferando, affermando e giurando”.


La reazione sdegnata di Castromediano può essere letta: luce di una storia che non è mai nuova e che sempre si ripete, sia pure in contesti diversi.
Di Castromediano restano intatti la figura adamantina, la sua grande dignità, il suo coraggio, il suo disinteresse ed il suo impegno per la causa italiana. Così come intatto resta il suo impegno per la difesa dei beni culturali del Salento, per gli studi e la ricerca archeologica. Egli fu allora un punto di riferimento per numerose iniziative che coinvolsero tanti studiosi.

Il Museo di Lecce da lui fondato e che porta il suo nome è l’emblema di questa sua intensa attività. Sulla spinta delle ricerche degli ultimi decenni ad opera di specialisti della Facoltà di Beni Culturali dell’Università di Lecce, Cavallino ha realizzato un Museo Diffuso sull’area arcaico-messapica, unico nel suo genere in tutta l’Italia Meridionale, che suscita l’ammirazione di tutti i cultori dell’archeologia.

L’ex Convento dei Domenicani, costruito nel 1600 dagli antenati di Sigismondo Castromediano (Francesco Castromediano e Beatrice Acquaviva D’Aragona) è oggi sede della “Scuola di Specializzazione in Archeologia” dell’Università di Lecce, ed a breve ospiterà il corso biennale di Architettura del Paesaggio, attivato in collaborazione con la Facoltà di Architettura di Venezia.
Tutte queste realizzazioni sono il paradigma dei sogni tradotti in realtà dal venerando Duca.


La ristampa delle sue memorie vuole essere una eloquente ed amorevole smentita alla sua fosca profezia espressa con queste amare parole:
“Queste carte! … Ahimè! lette appena, se pur verranno lette, le sperderà il vento, non altrimenti che aride foglie!”


Cavallino conserva queste carte come alta testimonianza di un patrimonio morale che va preservato, nel senso in cui vanno lette e meditate tutte quelle opere di pedagogia civile che fanno l’identità di una nazione. Le memorie di Sigismondo Castromediano sono in questo senso uno strato di quel passato che fa il nostro presente. Sono cumuli di terriccio, che sovrapposti ad altri sedimenti, formano, come scriveva con bella immagine, John Dos Passos “la collina su cui noi ci leviamo”. Ossia il punto di osservazione per guardare quelle frontiere perennemente mobili verso le quali si indirizza il cammino della civiltà.


Il 2005 è l’anno che ha visto trasformare in realtà le generose speranze di Sigismondo Castromediano: il monumento marmoreo che fra poco Cavallino a lui dedicherà è perciò l’indelebile segno di un debito d’onore che i suoi concittadini intendono rispettare.

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