IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“Un ragazzo degli anni settanta” Una storia in dieci puntate di Tiziana Leopizzi (8-9/10) 

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Monastero

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Capitolo 8°

Sotto casa, a pochi metri dal nostro portoncino, si spalancava un vasto portone con una corte sempre rumorosa. Era la “Casa del Popolo”, un luogo fascinoso , dove fumo, vino, bestemmie e nostalgie bellicose si intrecciavano specie la sera. Calciobalilla (meglio nominato biliardino per non citare il termine Balilla di assoluta assonanza contraria all’ambiente, carte, dadi, biliardo, anziani e giovani si legavano aggrovigliati in brontolii e aneddoti.

La tessera associativa sarebbe stata obbligatoria ma per giovani avventori non ancora indottrinati la porta era sempre aperta.

Ogni tanto si andava in cerca del “pollo”, io me la cavavo a stecca all’italiana ma il vero demonio era Severino alle boccette. Scommettevamo e ci si giocava il tempo dell’affitto del biliardo e pure un caffè o un “rossino al vetro” cioè un bicchiere di cancarone della casa. Una sera capitò l’impensabile. Il gestore del bar era spesso “umido” ma quella sera pareva proprio fradicio. Volle sfidare Severino. Eravamo senza una lira ma il toscano insistette “Che ttu hai fifa, dio bono!”. Grande tensione  e grande allegria elettrica. La gente si avvicinava e tifava Firenze contro Genova. “Che ci si gioaaa???” e io d’istinto dissi: ”Quelle!!!” indicando il grosso vaso di vetro pieno di uova sode che trionfava sul bancone del bar,  usate un tempo per coloro che avevano ecceduto con l’alcool. 

Una risata e “Ovvia, si giocaa!!” Per altro si era nel periodo Pasquale per cui si era anche in tema. Saranno state una trentina, belle, bianche e sode, parevano di marmo non lucidato.

Giocarono e io marcavo i punti. Andarono avanti sempre in equilibrio poi Satanasso benedisse Severino propiziandogli un filotto secco. Tra le risate e gli improperi filammo con il vaso di uova e la promessa di riportarlo vuoto.

Per tre giorni  uova sode, olio, sale, pane e tanta acqua per ingoiarle. Ridendo si diceva:”Ma non ci faranno male al fegato tutte ste uova? Certo che te vai a vincere solo uova, cazzo!”

Severino e io avemmo un’altra avventura con le uova. Una domenica in tarda mattinata, “squillò” la solita domanda :”Che mangiamo?” in realtà  avremmo dovuto pensarci prima. Tutto era chiuso e il mio amico aveva stranamente una gran voglia di scherzare. Trovò un uovo, forse dimenticato dei greci, e iniziò a fantasticare:”Mi cucinerò quest’uovo con la pancetta affumicata con fettina di caprino e una punta di pepe.”, risposi: ”Ma dai, io invece me lo impasterò con un chilo di farina e mi preparerò una sfoglia per ravioli di carne con sugo di cinghiale ….” E così avanti …” poi il poeta ebbe un guizzo e mi disse :”Prendi !!!” tirandomi l’uovo. Lo beccai al volo e, di ritorno, lo feci volare verso di lui che intento a ridere se lo ritrovò su una scarpa. Quattro occhi sbarrati e un silenzio gelante. Mi sentii talmente in colpa che uscii per cercare un altro uovo per lui, ma era domenica. Entrai in un bar e gli comprai una pasta. A lui rimase la voglia d’uovo e l’indomani scese da “Vinci senza merda” e si comprò sei uova per una omelette gigante che divise con me.

“Vinci senza merda” era il pollivendolo che, come d’uso in quei tempi aveva una botteguccia pari ad uno sgabuzzino e, dopo aver spalancato i battenti, ruotava una tavola che fungeva da banco con una piccola bilancia e la carta per fasciare le vivande. Gli avventori rimanevano fuori da quel localetto agibile per una sola persona in piedi. Un giorno ero li ad attendere il mio turno quando da dietro tuonò una voce masticata :”Oh Vinci, fa il bravino, tiemmi sei ova senza merda, che me le bevo” Esplose una risata collettiva che, nonostante i tanti anni trascorsi, sento ancora nelle orecchie.

Capitolo 9°

Dopo le mattinate in Accademia lavoravo a casa, poi uscivo e, grazie al tesserino della scuola che forniva la gratuità, mi rintanavo in qualche museo d’inverno e in qualche chiesa nei mesi più caldi. I marmi erano sempre freschi mentre i musei avevano sempre un riscaldamento ottimale. Con questa abitudine la mia cultura artistica locale divenne invidiabile.

Gli esami di Storia dell’Arte tenuti dal professor Michelangelo Masciotta erano leggendari. Egli sosteneva che il suo programma di studi doveva obbligatoriamente essere tutto il patrimonio artistico della città. Ovviamente il prof teneva anche magistrali lezioni programmate sulle avanguardie storiche dell’otto e novecento ma agli esami Uffizi, Bargello, Casa Buonarroti, Palazzo Pitti, Palazzo Vecchio, Museo dell’Opera del Duomo, Cappelle Medicee e Museo dell’Accademia, più tutte la principali chiese dovevano essere conosciute a menadito  tra opere e autori sia dei grandi maestri che dei   minori. San Miniato al Monte, Carmine, Santa Croce, Santa Maria Novella, Santa Maria del Fiore e campanile, Santo Spirito, Orsanmichele, Monastero di San Marco, San Lorenzo e qua mi fermo per non esagerare.

Ricordo tre domande che mi rivolse a bruciapelo :”Mi dica quanti rosoni  a vetrata ci sono nel tamburo della cupola di Santa Maria Del Fiore, come spero saprà, stiamo parlando della cupola del Brunelleschi!”, “Sono otto” risposi orgoglioso mente altri ascoltatori impallidivano. E lui:” beh certo, basta contare, e i nomi degli autori?”. Risposi: “Nanni di Banco e Tino di Camaino, due maestri della Scultura”. “Bene bene, ma mi dica, quante “bestie” trova nei cortili del Bargello? E chi ne è stato l’autore?” . Non ricordavo di certo il numero ma trillai con:” Il Giambologna, tutti tacchini, galli e pavoni in bronzo”. E la terza:” Lei sale le scale in pietra forte del Bargello, entra nel salone d’armi, cosa trova al centro della parete di sinistra? “Il San Giorgio di Donatello che sovrasta il primo esempio di prospettiva a rilievo marmoreo” dissi.

Il Masciotta pareva soddisfatto ma al momento del voto e firma sul libretto Accademico, un po’ sfottente per le mie origini genovesi, se ne uscì con un sorriso e mi chiese chi era l’architetto che disegnò e costruì la cattedrale di piazza Carignano e chi fu il pregevole maestro scultore delle quattro grandi sculture all’interno della chiesa.  A quel punto mi si aprì il cuore e mi presi una bella soddisfazione “sparandogli” con fare ovvio “L’architetto Galeazzo Alessi e lo scultore marsigliese Pierre Puget, professore!!! É casa mia….”

Mi beccai un trenta, ero molto felice e fuggii sudato.

Comunque le sue lezioni nella storica aula magna dell’Accademia le ricordo perfettamente ancora adesso dopo quasi cinquant’anni. Impressionismo, Divisionismo, Futurismo, Cubismo, Dadaismo, Espressionismo, Pop Art, Arte Concettuale, il prof le “raccontava” con un’enfasi ed una semplicità espositiva strabiliante. Un Maestro della comunicazione che mi fece “campare di rendita” per tutta la mia vita di insegnante.

L’ULTIMO CAPITOLO VERRÀ PUBBLICATO IL 9 GENNAIO 2023

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