IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La Fata del vecchio pioppo di Cavallino

Di Anna Maria Nuzzo

Immagine dal web

Qualche anno fa mi trovavo per lavoro a Cavallino – un paese del Salento a sud di Lecce – in casa di una nonnina che mi raccontò una di quelle antiche storielle popolari di cui oramai si va perdendo il ricordo.

Mi raccontò che proprio lì vicino casa sua, in un punto che mi indicò col dito mentre parlava, viveva una fata che appariva di notte a tutte le giovani donne del paese che si recavano in quel luogo in cerca della sua benedizione. Recentemente ho ritrovato questa storia messa per iscritto nel libro di Capone Editore “Viaggio nel Salento magico”, nel quale è riportato un brano scritto da Sigismondo Castromediano nel 1878 in una sua monografia storica intitolata Caballino.

Un tempo tra i ruderi di un mulino presso un antico pioppo viveva una fata. Sigismondo la descrive “bella come una melagrana, gentile come un gelsomino, gli occhi azzurri, i capelli biondi intrecciati con nastri rosei che le cadevano sul petto e una voce dolce.” Era vestita di bianco e aveva delle piccole scarpette sottili; una cintura simile al nastro del capo le stringeva il seno. Era sua abitudine nelle serene notti stellate uscire dal suo nascondiglio e andare a filare, seduta fino all’alba ai piedi del pioppo.

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Se qualche giovinetta che si trovava a passare di lì avesse avuto la fortuna di incontrarla e avesse saputo salutarla con cortesia, la fata l’avrebbe benedetta con dolci parole e dopo poco tempo la giovinetta avrebbe trovato un marito di quelli che sanno rendere felici le proprie mogli.  Una volta però un villanzone volle vederla con i propri occhi. Allora scavalcò le mura crollate del mulino e la vide sotto il raggio di luna. La fata diede un grido e sparì; da quel momento nessuno seppe più dove era fuggita.

Fino a quando sono rimasti i ruderi e l’albero, nelle notti serene e stellate si udiva un lamento nell’aria, ma poi l’albero fu spiantato e il posto ripulito e più nessuno udì e vide niente.

Sigismondo aveva tra i quindici e i vent’anni quando ascoltò questo racconto da una vecchia ottantenne del paese. Il giovane si beffò di lei che diventò rossa dalla rabbia e si alzò in piedi sostenendo d’averla vista coi propri occhi e che tre mesi dopo questa apparizione conobbe quello che sarebbe stato suo marito, col quale ebbe una vita felice.

Il suo racconto termina con queste parole: “I nostri avi credevano almeno alle fate! Il nostro secolo… ahimè! Non crede a nulla!”

Le storie raccontate dagli anziani mi hanno sempre incuriosita e affascinata forse perché mi ricordano che alla fine abbiamo tutti bisogno di qualcosa in cui credere, anche solo alle favole.

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